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La storia dei galanzieri - parte prima

Crea: 06/04/2016 - 02:21
Galanzieri caricano il minerale nelle Bilancelle presso il molo di Buggerru

La storia dei galanzieri e le origini del movimento socialista a Carloforte in Sardegna.

 

Testi e ricerche di G.Aste e R. Cambiaggio.
Impaginazione e realizzazioni grafiche a cura delle guide del Museo Civico.
Esportazione sul web a cura di Pietro Cappai.

 

Parte Prima

Agli inizi del '900 Carloforte è il secondo porto della Sardegna per numero di navi e per tonnellaggio di merci trasportate. Tale posizione fu raggiunta in seguito allo sviluppo, a partire dalla seconda metà dell'800 delle industrie estrattive del Suicis-Iglesiente.

Mancando strade e mezzi per il trasporto via terra, le società minerarie fra cui: Pertusola, Malfidano, Vieille-Montagne, Gennamari-Ingurtosu che avevano in appalto le miniere della costa occidentale sarda, trovarono più economico il trasporto del minerale ed il suo provvisorio immagazzinamento a Carloforte. Qui rimaneva in attesa di essere reimbarcato sulle grosse navi o bastimenti che l'avrebbero portato alla definitiva lavorazione negli attrezzati centri del continente. Fu conseguenza ovvia il dilatarsi in continuità, e con punte sempre ascendenti, del numero dei  marinai. Tale genere di lavoro ebbe inizio nel 1851 con trasbordo dai porti di Funtanamare e Portoscuso dei primi 11.000 quintali di Galena e Cerusite.

Trasportatore di minerale (Galanziere) Era minerale di piombo, e poiché la galena era detta "Galanza", "Galanzieri si chiamarono i marinai addetti al trasporto. Vennero quindi i trasporti dalle miniere di Gennamari (Galena e Cerusite nel 1852), Ingurtosu (idem nel 1857), Masua e San Giovanni d'Iglesias (idem nel 1860, e dal 1867 anche Calamina), Nebida (Galena e Cerusite, nel 1864), Acquaresi e Cala Domestica (idem nel 1865), Malfidano (Calamina nel 1866), Montecani e Monte Agruxau d'Iglesias (idem nel 1867), San Giorgio d'Iglesias (idem nel 1869)(1). Dagli 11.000 quintali del 1851 si arrivò così agli 801.490 quintali del 1869, e si continuerà ad un ritmo pressoché identico, se non crescente, sino alla vigilia della seconda guerra mondiale, relativamente alle miniere che sarebbero rimaste in attività. Si trattava di un lavoro durissimo (come si può apprendere da varie fonti e persino dalla viva voce di qualche superstite) che per circa un secolo mise a dura prova lo spirito di resistenza e di sacrificio dei carlofortini, ne consumò le energie migliori e lasciò un ricordo indelebile nella popolazione dell'isola

 

I Galanzieri da marinai dovevano improvvisarsi facchini, terrazzieri, equilibristi, corridori: i punti d'imbarco sulle spiagge sarde erano assai limitati nelle loro capacità di attracco per cui giungervi per primi, oltre che procurare la precedenza nelle operazioni, poteva comportare per i galanzieri la possibilità di due viaggi in un giorno (per gli approdi più vicini).

Uscivano dalle loro case ai primi chiarori dell'alba, e talvolta anche a notte alta, molto prima che il sole spuntasse, furtivi come ladri, le scalmiere fasciate di stoppa  o con sughero per non farsi scoprire dai compagni "concorrenti", a fanali spenti, in un gioco d'anticipo che in realtà si rivelava troppo spesso inutile, essendo "le spie" continuamente sul "chi va là".

La navigazione era a vela, quando c'era vento, altrimenti a remi per le 6 miglia di Portovesme, le 12 circa di Funtanamare, Nebida e Masua, le 14 circa di Cala Domestica, le 15 di Buggerru, le 40 di Piscinas. Giunti al punto di imbarco, il tuffo a mare per preparare i pontili mobili con cavalletti e tavoloni dal battello alla spiaggia; la corsa ai vagoncini che dai vicini magazzini permettevano il trasporto sul litorale; quindi l'operazione di carico, a velocità frenetica: due zappatori a riempire i sacchetti di 45/50 kg. o le coffe introdotte in un secondo momento; 4 o 5 (a seconda della portata della barca), "facchini corridori" a scaricare i sacchetti nelle stive, dove dalla metà delle operazioni in poi uno o due di essi dovevano improvvisarsi terrazzieri per facilitare o perfezionare lo stivaggio; il tutto a velocità sostenuta, per tutto il tempo delle operazioni (si trattava di caricare battelli della portata dalle 12 alle 22 ton.) sui traballanti e viscidi tavoloni dai quali, se si perdeva il passo, si correva il rischio del tuffo a mare.

Non vi erano funzionari del Registro Navale a controllare il carico e la salvaguardia dell'equipaggio; si partiva per Carloforte col battello abboccato, attraverso gli ombrinali l'acqua scorreva sulla tolda ricurva, col pericolo che durante la navigazione potesse penetrare nelle stive con grave pericolo per la navigazione. "ci si poteva fare il bagno" afferma il vecchio galanziere di 93 anni Carlino Bonifai nel suo racconto. Spesso le operazioni di carico erano complicate dalla bassa marea per cui, non riuscendo a coprire tutta la distanza dal battello alla spiaggia coi pontili mobili, i galanzieri erano costretti a lavorare col canotto.

Battelli di Carloforte sulla costa sarda che si apprestano alla posa dei tavoloni per trasportare il minerale dai depositi alle stive" La gola era grossa, continua zio Carlino, carica e carica, e dopo andavano a fondo con tutto il minerale! Vai ad assubacarti (andare sott'acqua) nell'acqua e tirare su; oh era … piombo!… e bisognava tirarlo su a poco a poco".

Ecco, fretta e gola, gli ingredienti primi del lavoro del galanziere: fretta per non perdere il posto d'imbarco in miniera e di sbarco sulla spiaggia di Carloforte, gola per racimolare qualche centesimo di paga in più. I galanzieri erano infatti pagati a tonnellata: nel 1870 mediamente 6,25 lire a ton. da dividere in 11 parti, per un equipaggio di sette uomini, di cui 3,5 lire all'armatore, 1,5 al padrone del battello, una ciascuno ai sei marinai.La gola!

" Una volta venivamo da Buggerru col battello carico al fondo, racconta il Bonifai, ci ha preso lo scirocco nel golfo di Flumini e noi si credeva di colare a picco! L'acqua giungeva dai filetti e minacciava di entrare nei boccaporti. Abbiamo messo i remi sul canotto, pronti a buttarci se il battello fosse affondato. Ma u' Segnun u l'ea Tabarchin! ( il Signore era carlofortino)".

L'arrivo a Carloforte comportava una nuova sfacchinata, non di troppo inferiore alla precedente:  trasportare il minerale dai battelli ai magazzini, ancora su pontili mobili, (il porto non era banchinato).

I magazzini erano sparpagliati lungo il litorale: allo Spalmadureddu il minerale della Vieille Montaigne; a Taccarossa quello di Malfidano, nel sito dove sorge l'Istituto Nautico quello di Piscinas, dove sono le cooperative dei pescatori quello di Nebida, allo Stagnetto quello di Masua; mentre presso il " Palazzo Vecchio" era il deposito di Coke inglese che le barche trasportavano a Masua, per quella fonderia entrata in funzione nel 1862.

Quando infine il deposito diventava consistente, si procedeva al carico delle navi ancorate in rada. Sui battelli veniva reimbarcato il minerale dai magazzini: una breve volata sotto bordo dei grossi bastimenti sulle fiancate delle quali erano già stati approntati "i quartieri" (una sorta di scala pensile di tre o quattro soglie, a seconda dell'altezza della barca e sulle quali prendevano posto i galanzieri  che effettuavano il passamano del minerale); quindi con l'aiuto di un congruo numero di giornalieri, lo scarico. Due zappatori riempivano le coffette nelle stive di poppa e di prua; quattro marinai effettuavano il primo passaggio dalla barca al quartiere più basso ( man mano che la nave scendeva sotto il peso del carico, diminuiva una soglia, altri due sui diversi quartieri, fino ai quattro che sulla nave, scaricavano nelle stive il tutto senza interruzione, in mezzo a una nuvola di polvere di piombo che mozzava il respiro.

Era evidente pertanto che queste dure condizioni di lavoro (mal retribuito in rapporto alla fatica) avrebbero provocato presto o tardi delle manifestazioni di protesta. Lo sciopero del 1881 fu il primo di questi eventi (2). Nel Gennaio di quell'anno infatti fu inscenata una rumorosa manifestazione contro l'agente della Società Malfidano, il francese Jacomy. Parecchie persone si riunirono sotto le finestre della sua abitazione per gridare che il salario, per il trasporto del minerale da Buggerru a Carloforte, doveva essere elevato da 4 a 5 lire per tonnellata mentre Jacomy voleva ridurlo a 3 lire.

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Pietro Cappai

Realizzo siti web ed insegno nella scuola superiore di secondo grado. Amo il mare, gli sport velici e la musica. Vivo a Carloforte sull'Isola di San Pietro in Sardegna. Potete visitare il mio sito personale a http://www.pietrocappai.info.

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